Il mio Corso di Book Club

Le stelle del cuore
 
Il mio corso “l’English book club”, tenuto da Sarah, stava per iniziare, online, su zoom.
Avevo tutto pronto in cucina, PC e un bicchiere di succo d’ananas.
In casa c’era silenzio, non c’era nessuno.
O almeno così sembrava.
Più tardi avrei realizzato che non ero affatto sola.
Avremmo discusso il libro di Glendy Vanderah “Where the forest meets the stars”.
Sarah era una simpatica signora inglese di Newquay, in Cornovaglia, aveva un delizioso accento inglese appoggiato su un italiano pressoché altrettanto perfetto. “Ciao! Eccoci qui, dunque vediamo chi c’è…” Istante dopo istante scorrevano i nomi di ognuno di noi incorniciati nelle finestrelle di zoom.
Bevvi un sorso di succo, guardando come un bastardino a testa inclinata i miei compagni del corso “l’English book club”.
"Quanto siamo brutti" pensai ad alta voce, lanciando velocissimamente uno sguardo di terrore sull’icona del microfono fortunatamente sbarrato.
Eravamo riflessi deformati, ologrammi colorati e variabili con una luce spenta e variegata di ombre.
Sbadigliai in silenzio. Mi passai la mano sul viso e mi massaggiai gli occhi. Avevo un sonno travolgente, considerate le recenti notti insonni.
Ero attratta e incuriosita da quello che stava alle spalle dei compagni del corso, la cornice della loro casa, della loro nicchia sicura. Potevo vedere pezzi di quadri, frammenti di mensole, tagli di pareti illuminate, libri inclinati e foglie di potus.
Bevvi un’altra sorsata di succo, appoggiando il bicchiere in modo goffo, facendolo slittare sul tavolo.
Sentii un rumore strano, diverso, provenire dal bagno o dalla camera.
Mi voltai.
Dallo schermo Sarah e Valeria stavano commentando la relazione conflittuale di due protagonisti del libro ma la mia attenzione era ormai rivolta a capire cosa stesse succedendo in casa.
Un suono, ibrido e metallico, si fece più denso.
Mi alzai immediatamente dallo sgabello, lasciando acceso il PC con gli amici che si alternavano dalle finestre sullo schermo come in una partita di scala quaranta.
Rimasi in piedi in silenzio. Orecchie tese. Cellulare in mano.
Rapidamente diedi una scansione a tutta la stanza, il respiro corto e congelato in gola.
Sentii sbattere una portiera, uno schiocco di metallo e gomma incollati insieme in un bacio robotico asettico.
Mi misi spalle al muro con le orecchie affilate e arrampicate a edera su tutta la parete, il cuore pulsava come un tamburo sciamanico e le mani mi tremavano. Strinsi il cellulare tra le dita, volevo guardarlo per chiamare qualcuno ma non potevo distrarmi e il mio sguardo non mollava la porta semichiusa della camera.
Un bagliore bianco e rosa divampò immenso dall’ingresso della stanza, e da questo fascio di luce morbida e pastello, apparve una bambina.
Era minuta e fragile, sui dieci anni.
Eravamo lì così, una di fronte all’altra. Sembrava sempre stata nella mia vita, era tutto normale e non avevo la minima sorpresa né paura.
Mi sentivo sospesa, come se tutto il mio corpo e i miei pensieri si stessero smolecolando. C’era una calma bellissima e definitiva e sentii una profonda consapevolezza di gratitudine.
“Sono Ursa” disse la bimba sorridendomi, e capii in un brivido che ero entrata in una pagina parallela del libro di Glendy Vanderah che stavamo appunto discutendo al mio corso “l’English book club”.
Una pagina mai esistita.
Era Ursa, la bambina speciale protagonista del libro, la bimba che sosteneva di arrivare dallo spazio, dalle stelle. Ursa, la bambina misteriosa dei cinque desideri, era qui di fronte a me ed io, incantata, la guardavo senza la capacità di dire una parola.
“Noi della Famiglia Stellare abbiamo sempre ascoltato i desideri che da lungo tempo hai disegnato nel tuo cuore” continuò, lasciando fluttuare intorno a sè manciate di orbs rosa e bianchi, “...ora siamo qui per darti gli strumenti che ti mancano per poterli realizzare”.
“Alda?!” mi chiamò Ursa cercando di disincantarmi, poi si avvicinò allungandomi la sua manina e ripetè il mio nome, mi richiamò più volte, mentre appoggiava nella mia mano un foglietto piegato.
“Alda, stai bene?... Alda?”
Aprii gli occhi con un sobbalzo sbilenco, rischiando di ribaltarmi dallo sgabello. Oddio.
Vidi Sarah che dallo schermo sorrideva e pronunciava il mio nome in modo pacato.
Mi ero addormentata.
Ero crollata davanti al gruppo d'inglese. Il bicchiere rovesciato sul tavolo gocciolava succo d’ananas lungo le piastrelle. Cercai di impastare delle scuse e di riassumere un atteggiamento dignitoso.
L’incontro si chiuse con saluti e promesse ed io rimasi con il PC acceso, pensando al bellissimo sogno appena realizzato.
Mi alzai lenta e sgretolata e mentre m’inchinavo per pulire il pavimento, mi scivolò da sotto la mano appoggiata al tavolo, un foglietto di carta piegato.
Il foglietto di Ursa.
Lo aprii lentamente in una vampata di emozione, stupore e meraviglia. All’interno, scritto a mano, c’era il messaggio: “Gli strumenti per realizzare i tuoi desideri li hai sempre avuti solo e solamente tu, affidati alla tua fantasia e vola tra le stelle del tuo cuore”.

-----------------------------------------------------------------------------
Racconto di Alda M.C. Torri
Selezione del Concorso letterario Il Cavedio "Il mio corso di..." 2022